Saroyan nei suoi romanzi commuove, ecco cosa fa. Ci scrive dentro quelle cose che capitano nella vita, di tanto in tanto, e proprio perché genuine meravigliose, cose amate proprio perché imperfette.
«Ho avuto un altro attacco questa notte. Niente di che, per la verità. Ho sentito che qualcosa non andava, per cui ho chiesto al ragazzo di andarmi a prendere le medicine. Dovrei farmi visitare tutti i giorni, ma non ne ho voglia. Dovrei darmi una calmata.» […]
«Vai da Corbett, all’angolo, e bevitene uno. […] Su, vai, Willie. Fatti un goccetto, e quando torni ci dedichiamo ai vecchi tempi.»
«Ma non dovrei bere, Tom.»
«Lo so che non dovresti, ma so anche che ne hai una gran voglia, e a volte quel che uno desidera è ben più importante di quel che dovrebbe fare… per cui vai, e fatti una bevuta.»
«Pensavo che un ragazzo non dovrebbe piangere più, una volta cresciuto, mentre sembra quasi che sia proprio quello il momento di cominciare, perché è allora che apre gli occhi.» […]
«Pietà. Credo che fosse la pietà a farti piangere.»
«Ecco, lascia che ti racconti una cosa a proposito della gente… stai molto attento. Se vedi qualcosa che ti sembra proprio sbagliato, non esserne del tutto certo.»
Nella quarta di copertina dell’edizione Marcos Y Marcos chi descrive Saroyan parla di lui come di un giocatore impertinente che riuscirà a vincere e perdere una fortuna con la stessa disinvoltura, a sposarsi, divorziare e risposare la stessa donna. Poco prima di morire invierà personalmente ai giornali il proprio necrologio: “Naturalmente sapevo che gli uomini muoiono, ma pensavo che per me avrebbero fatto un’eccezione. E adesso?”
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